E’ troppo presto per morire

aids

“Era il 1986, quando a 23 anni, scoprii di essere sieropositivo. Lo feci dopo un incidente che mi obbligò ad alcuni controlli in ospedale, dove il medico mi disse che quei valori più alti della norma potevano dipendere da un’epatite C, forse contratta durante gli anni di abuso d’eroina. Per togliermi ogni dubbio decisi di fare anche il test dell’HIV, senza pensare neanche per un solo istante che l’esito potesse essere positivo. Quando il medico mi comunicò il risultato del test sentivo le gambe che si afflosciavano e il primo pensiero fu: no, non è possibile. Ho vissuto la notizia come una condanna a morte. Subito dopo aver saputo di aver contratto il virus arrivò il pensiero del suicidio; passavano le ore e io ero li, sul davanzale della stanzetta d’ospedale dove ero ricoverato: mi butto o non mi butto. Ma la voglia di vivere prevalse sull’orrore provato in quei momenti, e decisi di non buttarmi: tornai a casa e ci rimasi per un’intera settimana, trascorsa fissando il soffitto, con gli occhi sbarrati, ancora incredulo e atterrito. E’ questo il momento più importante di tutta la storia perchè è proprio allora che accadde qualcosa di fondamentale: decisi di non arrendermi e di continuare a vivere, anche lottando. All’inizio non parlavo facilmente della mia malattia; solo in un secondo momento decisi di aprirmi con gli altri e non nascondermi più. Non mi confidai neppure in famiglia, ma soltanto di fronte alle domande insistenti di mia madre, che grazie al suo istinto materno riusciva a percepire il mio stato d’animo, ammisi che c’era qualcosa che non andava. In quel periodo ho imparato a fingere, a sembrare tranquillo mentre in realtà non lo ero. Nel frattempo iniziai a frequentare un centro specializzato a Milano, dove mi spiegarono che in quel momento per fortuna la malattia non si stava sviluppando: avevo gli anticorpi e gli altri valori che erano ancora nella norma e sarebbero potuti trascorrere anni prima di peggiorare. Non ho mai capito esattamente come sia avvenuto il contagio, ma so quasi certamente di aver contratto il virus per via sessuale, a seguito dei molti rapporti occasionali non protetti avuti negli anni. Siamo alla fine degli anni 80, un periodo in cui si inizia appena a parlare di AIDS e non si hanno certo tutte le informazioni che per fortuna abbiamo a disposizione oggi. Inoltre sono ancora pochi i casi dichiarati, perchè molte persone neanche sanno di essere sieropositive e quelle che lo sanno nella maggior parte dei casi non escono allo scoperto per paura di essere discriminate ed emarginate. Sono anni in cui l’AIDS incute panico e anche in una città grande come Milano, quando iniziai a frequentare un gruppo di auto-aiuto trovai solo 7 persone che come me sentivano il bisogno di condividere le proprie sensazioni e il proprio fardello. Quello è stato un periodo caratterizzato da alti e bassi. C’erano giornate in cui pensavo: è solo una malattia. Altre in cui sentivo di persone che erano morte di AIDS e pensavo: no, è troppo presto per morire. La mia più grande paura, oltre a quello che potesse capitarmi qualcosa da un momento all’altro, era trasmettere il virus a qualcuno e questo mi ha fatto vivere in una condizione di continua paranoia, mandandomi fuori di testa anche per un semplice taglietto. Cambiò anche il mio rapporto con le donne, sia a livello affettivo che sessuale. Avevo paura di legarmi ad una donna per timore di farle correre dei rischi, e quindi mi costrinsi anni di solitudine forzata. Ma le cose, che si voglia oppure no, capitano lo stesso e nonostante gli sforzi si commettono anche degli errori: successe anche a me quando conobbi una ragazza con la quale iniziai a frequentarmi e di cui, dopo un pò mi innamorai. Purtroppo però l’incoscienza ebbe il sopravvento sulla razionalità e accadde ciò che mai sarebbe dovuto accadere: il contagio del virus. Quando fui certo di averle trasmesso l’HIV ebbi di fortissimi sensi di colpa: non riuscivo a perdonarmi nè ad accettare di aver infettato un’altra persona, proprio la persona che amavo, che avrei dovuto proteggere e che non avrei mai voluto perdere. Questo è il momento peggiore della mia storia, momento che ancora mi tormenta, poichè ancora oggi, nonostante siano passati anni e abbia imparato a convivere con l’AIDS, non sono riuscito ad accettare di essere stato così irresponsabile e, probabilmente, non lo accetterò mai. Ma non è finita qui, perchè ad un certo punto la situazione si aggravò e mi ricoverai in ospedale: pensavo che non ne sarei uscito, ma non volevo morire li. Se la situazione si metteva male avrei smesso con la terapia e sarei andato a morire in un posto che amavo molto, la Valle della Luna in Sardegna.

Per fortuna questo non è ancora successo e Z. è ancora con noi e può raccontarci la sua storia. Una storia che ci insegna il rispetto e l’amore per la vita, cosa che troppo spesso dimentichiamo. Lo dimentichiamo quando facciamo di tutto per farci del male, quando non vogliamo bene a noi stessi e agli altri, quando pensiamo che un malato di AIDS è non una persona che può darci qualcosa, esattamente come tutte le altre. E’ qui che nasce il seme dell’emarginazione e dell’indifferenza che uccide, e che purtroppo è qualcosa che accade ancora oggi, nonostante ci sia tanta informazione sull’AIDS e molti luoghi comuni siano stati sfatati. Non dobbiamo cadere però nell’errore di sottovalutare la situazione e quindi di abbassare la guardia: l’AIDS esiste e continua a mietere le sue vittime. Oggi è più difficile grazie alle nuove terapie, ma di AIDS purtropp0 ancora si muore. E il rischio del contagio è sempre quello, quindi bisogna prevenire e cercare in tutti i modi di tutelarsi. E’ qualcosa che può salvarci la vita.

Z. mi ha regalato un pezzo della sua vita dandomi la possibilità di ascoltare e raccontare la sua storia. Dopo i pomeriggi trascorsi insieme a parlare ho sentito in me che si accendeva come una scintilla e una nuova e più forte voglia di vivere si è impadronita di me. E’ qualcosa che spero si sia acceso anche in voi leggendo questa storia, perchè dobbiamo sempre ricordarci che c’è chi come Z, che convive ogni giorno con l’AIDS e lo fa con determinazione e dignità, lottando per la vita e combattendo contro i pregiudizi. E se lo teniamo sempre a mente vedremo che, quasi per magia, i nostri problemi quotidiani, grandi o piccoli che siano, al confronto diventano quasi insignificanti. Per questo voglio ringraziare Z a piena voce per la magia che è riuscito a compiere nel mio cuore….

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